Lev Nicolaevič Tolstoj nasce nel 1828 a Jasnaja Poljana, una tenuta nel giovernatorato di Tula (non molto lontano da Mosca), figlio della principessa Marja Nikolàevna Volkonskaja e del conte Nikolaj Il’ìč. La madre muore quando Lev ha solo due anni; nel 1837 muore anche il padre. Trasferitosi nella città di Kazan, si iscrive all’università, dove frequenta prima i corsi di lingue orientali e poi quelli di diritto, senza tuttavia riuscire a conseguire la laurea; la sua formazione culturale è affidata prevalentemente alle letture, tra le quali fondamentale quella di Rousseau. 
Nel 1847 torna a Jasnaja Poljana, dove matura i primi propositi di riforma in favore dei contadini, dedicandosi al contempo alla vita mondana, e perfino sregolata (in particolare per la passione del gioco d’azzardo), a Mosca e Pietroburgo. Nel 1851 partecipa alla guerra dei Caucaso come ufficiale d’artiglieria e comincia a scrivere: nel 1852 pubblica a puntate su una rivista il suo primo romanzo, Infanzia. Nel 1854 chiede di essere trasferito a Sebastopoli per combattere nella Guerra di Crimea. Da quest’esperienza nascono i Racconti di Sebastopoli, che consolidano la sua fama letteraria. Tornato a casa l’anno seguente, tenta di attuare una riforma per l’abolire la servitù della gleba e migliorare la condizione dei contadini, che fallisce per la diffidenza di questi ultimi. Inizia un periodo di viaggi e di riflessione sull’educazione, che concretizza nel 1859 con la creazione di una scuola per i figli dei contadini nella sua tenuta di Jasnaja Poljana. 
Nel 1862 sposa Sofja Andreevna Bers, detta Sonja, da cui avrà tredici figli. E’ un matrimonio d’amore, felice ai primi tempi, anche se con gli anni il clima familiare diventerà sempre più difficile per lo scrittore. Tra il 1863 ed il 1869 scrive Guerra e pace, considerato il suo capolavoro ed uno dei vertici indiscussi della letteratura mondiale. Segue un’opera umile indirizzata all’infanzia come i Quattro libri di lettura, una raccolta di favole, racconti, episodi di vita, semplici spiegazioni di fatti elementari. Nel 1877 pubblica l’altro suo grande capolavoro, Anna Karenina
In questo periodo giunge a maturazione una profonda crisi spirituale, di cui aveva avuto avvisaglie già negli anni precedenti. L’inquietudine dello scrittore, che da sempre si interroga sul significato della vita, trova appagamento in una religione intesa come fedeltà rigorosa al Vangelo ed alla sua etica della non resistenza al male e del primato degli umili. La conversione è radicale: Tolstoj diventa vegetariano, rinuncia alle prerogative della sua classe sociale e si dedica ai lavori manuali. Chiarisce il suo pensiero ne Il Regno di Dio è in voi (1893), che influenzerà profondamente Gandhi, e che lo porterà alla scomunica da parte della Chiesa ortodossa. 
Negli ultimi anni la situazione familiare diviene difficile per via dei continui litigi con la moglie ed i figli, cui non erano estranee ragioni economiche legate al suo testamento. Il 28 ottobre 1910 Tolstoj, che ha ormai ottantadue anni, prende la risoluzione di tagliare i ponti con la sua famiglia e si mette in viaggio su un treno di terza classe. Morirà pochi giorni dopo, il 7 novembre, nella stazione di Astapovo. 

Le idee filosofiche e morali 

Il pensiero di Tolstoj, considerato come una ideologia politico-religiosa (per la quale si parla di tolstojsmo), ha avuto numerosi seguaci anche fuori dalla Russia per diversi decenni dopo la morte dello scrittore. I suoi tratti caratterizzanti sono il pacifismo e la non resistenza al male, il comunitarismo, il vegetarianesimo, il rifiuto dello Stato e della Chiesa, la povertà volontaria e l’accettazione del lavoro manuale. Tutti questi aspetti si trovano effettivamente nel pensiero di Tolstoj, che tuttavia non volle mai essere maestro per gli altri né fondare una nuova ideologia; la diffusione del tolstojsmo fu opera soprattutto del discepolo prediletto Vladimir Čertkov. 
L’esistenza umana, afferma Tolstoj in Della vita (1888), è caratterizzata da una contraddizione di fondo. Ognuno cerca il proprio bene personale e considera la vita degli altri solo come un mezzo per ottenerlo; ognuno lotta contro il mondo intero, per affermare il proprio bene personale, ma non raccoglie che beni transitori, misti a molta sofferenza. Questa contraddizione sussiste fino a quando l’uomo non si è risvegliato ad una visione del mondo più alta. Tolstoj chiama individualità animale ciò che spinge l’uomo a considerare solo il proprio bene personale, e le contrappone la coscienza razionale, che mostra all’uomo l’impossibilità del suo bene personale e lo spinge a vivere per un bene più alto, a cercare non il proprio bene personale, ma il bene dell’altro. In altri termini l’amore, che è predicato da tutti i grandi maestri dell’umanità, è una conseguenza della stessa attività razionale. “L’amore — scrive Tolstoj — è l’unica attività razionale dell’uomo”. Grazie all’amore l’essere umano può lanciarsi oltre i limiti della propria individualità, superare la propria finitezza e mortalità ed abbracciare una vita più alta. 
Questa verità è contenuta nel Vangelo, ma ha poco a che fare con la vita effettiva dei cristiani e con il messaggio delle chiese. Seguire il Vangelo vuol dire cambiare vita in modo radicale, abbandonare ogni forma di violenza e seguire la via dell’amore; ma le chiese non pretendono tanto: basta loro che si riconosca l’autorità religiosa, che si diano soldi ai sacerdoti, che si venerino le reliquie, che si battezzino i bambini. Invece di diffondere il sublime messaggio evangelico e di lavorare per una società che sia alla sua altezza, le chiese tengono il popolo nella superstizione e inducono i poveri ad accettare le ineguaglianze sociali senza ribellarsi. Esse fanno parte, insieme allo Stato, di una struttura di potere al servizio delle classi superiori, in difesa delle loro proprietà e delle loro ricchezze. Le chiese e gli Stati esigono ubbidienza, ma il vero cristiano, afferma Tolstoj ne Il Regno di Dio è in voi, non è tenuto ad obbedire a nessun potere terreno. Obbedendo solo a Dio, egli è libero nei confronti di qualsiasi autorità ed ha il diritto di disobbedirle. E poiché lo Stato non è che l’organizzazione della violenza, il cristiano non può che essere contro lo Stato. 
 La diffusione di queste idee per Tolstoj trasformerà alla radice il mondo contemporaneo. Senza alcun bisogno di ricorrere alla violenza, grazie alla trasformazione interiore dei singoli, le vecchie istituzioni, le gerarchie, le forme di dominio scompariranno. La rivoluzione dello stile di vita, quale Tolstoj attuò dopo la crisi e la conversione, è la più efficace pratica rivoluzionaria: il mondo cambia se le persone cominciano a pensare ed a vivere diversamente. Si tratta di convinzioni che, come accennato, impressioneranno a fondo Gandhi, che avrà con lui uno scambio epistolare e cercherà di metterne in pratica i principi in Sudafrica nella Fattoria Tolstoj. 

Esiste il diritto di educare? 

La riflessione pedagogica di Tolstoj è caratterizzata dalla medesima radicalità del suo pensiero etico e religioso. Chi si occupa di educazione si interroga sul metodo, su come educare, o sui valori da trasmettere attraverso l’educazione, o sul tipo di essere umano che occorre cercare di realizzare attraverso il processo educativo. Tolstoj va più a fondo, e mette in discussione ciò che è implicito in ogni prassi educativa: che alcuni soggetti, definiti educatori, abbiano il diritto di educare altri soggetti, definiti educandi. In cosa consiste questa azione? “L’educazione è la tendenza di una persona a plasmarne un’altra a sua immagine”, scrive Tolstoj. Questa tendenza è violenta, perché non riconosce il diritto di ogni individuo di svolgersi liberamente, di svilupparsi in modo autonomo, senza alcuna coercizione. Il diritto di educare dunque non esiste. Perché allora esiste l’educazione? Per Tolstoj le cause sono quattro. La prima è la tendenza comprensibile e naturale dei genitori a far sì che i figli gli assomiglino. Meno naturale è la seconda causa, ossia la religione, che ha un carattere inevitabilmente coercitivo. Se si pensa che una certa convinzione religiosa sia indispensabile per la salvezza, si cercherà inevitabilmente di far sì che il maggior numero di persone possibile accettino quelle idee e le facciano proprie. La terza causa è il bisogno dello Stato di avere delle persone formate secondo le sue esigenze (burocrati e militari). Infine, l’educazione è un’esigenza dell’alta società, che si considerà società tout court, e che istituisce scuole popolari, pensionati, università con il fine apparentemente nobile di contribuire al progresso sociale e culturale. 
La critica di Tolstoj si concentra in particolare contro queste ultime istituzioni, che sono quelle nelle quali più legittima appare la pretesa di educare (mentre esisteva già al suo tempo una letteratura critica contro l’educazione religiosa e militare, ed era diffusa la denuncia degli errori dell’educazione famigliare). L’educazione popolare offre una singolare contraddizione: essa vorrebbe favorire il bene del popolo, eppure il popolo la rifugge, al punto tale che occorre costringerlo a sottomettersi all’educazione scolastica. Non è difficile comprendere le ragioni di questo rifiuto. La scuola, che pretende di educare il popolo, non ha la sua freschezza, né il suo contatto con la vita. Il bambino del popolo, abituato alla libertà di movimento, all’esperienza dei sensi, alla vivacità delle impressioni, giunto a scuola si trova in un ambiente poliziesco, in cui viene costretto all’immobilità ed al silenzio. “La scuola è organizzata non in modo che per i fanciulli sia piacevole studiare, ma in modo che agli insegnanti sia comodo insegnare”, osserva Tolstoj. Entrato a scuola, il bambino perde ogni entusiasmo, ogni vivacità, ogni interesse, e sviluppa quello che Tolstoj chiama “stato scolastico dell’anima”, che si ha quando la creatività e l’immaginazione lasciano il posto alla ripetizione meccanica e mnemonica. E’ solo quando è entrato in questo stato di instupidimento, che in bambino diventa uno studente modello. 

Educazione e formazione culturale 

Tolstoj nega, dunque, il diritto di educare. Non nega tuttavia che l’individuo abbia bisogno di entrare in rapporto con altre persone che lo aiutino a crescere. E’ indispensabile, affinché questo rapporto non sia violento, che vi sia assoluta libertà. Lo scrittore russo distingue educazione e formazione culturale. Se la prima consiste, come abbiamo visto, nell’azione di modellamento di un individuo da parte di un altro, la formazione culturale “implica un rapporto libero tra le persone; questo rapporto si basa sull’esigenza di acquisire delle conoscenze nuove, da una parte, e di comunicare le conoscenze già acquisite, dall’altra”. L’insegnamento può essere al servizio sia dell’educazione che della formazione culturale: nel primo caso è insegnamento impositivo, nel secondo caso risponde ad una richiesta precisa e non può prescindere da questa. 

Lo scrittoio di Tolstoj

Questa distinzione induce ad un profondo ripensamento del ruolo e della funzione della scuola. Essa, per Tolstoj, non deve più occuparsi di educazione, ossia non deve cercare di trasmettere credenze ed opinioni, non deve esercitare alcuna pressione morale, inevitabilmente autoritaria, sugli studenti. La scuola ha senso solo se in essa si fa formazione culturale: se, cioè, gli studenti sono liberi di scegliere cosa studiare e come farlo, e di abbandonare le lezioni che non li soddisfano. 
Una volta introdotto il principio di libertà, scompaiono del tutto i mezzi coercitivi della scuola tradizionale. Minacce e castighi fanno parte di una scuola che intende modellare gli studenti secondo valori predeterminati, sono strumenti indispensabili della violenza educativa. Resta una domanda. Per Tolstoj ogni tentativo di modellamento è violento. 
Ma come considerare il caso di un insegnante che influenzi gli studenti attraverso il proprio insegnamento liberamente scelto? Non c’è anche in questo caso un modellamento? Tolstoj non lo nega, ma non considera violenta questa influenza. Ciò che è indispensabile, è che sia rispettata la libertà dello studente. Va fatta dunque l’ulteriore distinzione tra l’educazione, che è coercitiva, e l’influenza educativa, che un insegnante può avere sullo studente grazie alla conoscenza che ha della sua disciplina ed alla passione che anima il suo insegnamento. Un docente può appassionare gli studenti allo studio della chimica grazie alla sua stessa passione. In ciò non v’è nulla di negativo; l’importante è che il docente non adoperi alcuno strumento coercitivo per indurre gli studenti a studiare ciò che desidera lui e ad accettare alcune posizioni etiche e valoriali. E’ una risposta che non appare conclusiva, perché un docente può, grazie al suo carisma, esercitare sullo studente una forma di potere non minore di quello esercitato coercitivamente dall’insegnante privo di carisma. Lo stesso Tolstoj, con la sua stessa presenza ed il suo carisma, finisce per influenzare profondamente i suoi studenti, lasciando su di loro l’impronta della sua identità e dei suoi valori. Sarà questa la critica principale che rivolgerà a Tolstoj Sergej Hessen. Tolstoj pensa ad un grande rinnovamento della scuola, che anticipa con l’esperimento di Jasnaja Poljana, ma guarda anche oltre la scuola. Luoghi della formazione culturale potranno essere i teatri, le biblioteche, i musei, le gallerie, tutti i luoghi nei quali è possibile acquisire conoscenze e trasmettere informazioni. 

La scuola di Jasnaja Poljana 

La tenuta di Jasnaja Poljana

La scuola di Jasnaja Poljana è ospitata in un edificio in pietra, nella tenuta di Tolstoj. Accoglie una quarantina di studenti dai sei ai dieci anni, di entrambi i sessi, per lo più figli dei contadini del villaggio. Sono divisi in tre classi, a seconda dell’età, guidati da quattro maestri. E’ una scuola senza banchi e cattedre: nelle tre aule della scuola i bambini possono sedersi a terra, sul davanzale, sui tavoli o su una poltrona sistemata in un angolo. Non esiste alcuna disciplina imposta. Al momento dell’arrivo del maestro nella stanza, i bambini si rotolano a terra, urlano, si picchiano. L’ordine si crea spontaneamente quando il maestro comincia la propria attività. Dopo aver distribuito i libri, comincia la lettura, che i bambini seguono con assoluto silenzio. Più si procede, più cresce nei bambini stessi il bisogno di ordine e la capacità autonoma di stabilirlo. 
La scuola comincia alle otto di mattina, quando il maestro suona la campanella. I bambini giungono alla spicciolata; non c’è alcun obbligo in tal senso, ma in genere i bambini giungono puntuali. “Non basta dire — scrive Tolstoj — che non portano niente in mano: anche nella testa non hanno niente da portare. L’allievo non è obbligato a ricordare nessuna lezione, niente di quello che è stato fatto ieri”. Al mattino si tengono normalmente quattro lezioni, che però possono essere anche di meno, poiché non esiste una rigida distinzione oraria. Alle due terminano le lezioni del mattino e i bambini vanno a casa per il pranzo. Le lezioni riprendono poi al pomeriggio e proseguono fino alle otto o alle nove di sera. Il lavoro scolastico comprende la lettura e scrittura, la grammatica, la storia sacra e quella russa, il disegno ornato e tecnico, il canto, la matematica, le scienze naturali e i comandamenti divini. Quanto al metodo d’insegnamento, è affidato alla sperimentazione continua e subisce pertanto aggiustamenti in itinere, ma tiene sempre presenti due principi di fondo: rispettare la libertà degli studenti e cercare non il metodo più agevole per l’insegnante, ma quello migliore per gli studenti. Sono bandite le interrogazioni, che abituano i bambini ad imparare le cose a memoria e fanno sì che tutto lo studio sia finalizzato non all’apprendimento, ma all’interrogazione. Il maestro non ha bisogno dell’interrogazione per saggiare la preparazione dello studente, se ha capacità di osservazione e partecipa alla vita della classe. Questo non vuol dire che siano del tutto banditi i voti. Cambia però il loro senso: il voto non è imposto dal maestro allo studente, ma è richiesto da quest’ultimo per sapere se ha lavorato bene o male. La tendenza è comunque quella di fare del tutto a meno dei voti, che suscitano inevitabilmente competizione. 
Riguardo alla disciplina, quando due bambini vengono scoperti a rubare, Tolstoj non riesce ad impedire che i compagni impongano loro una punizione severa, mettendo loro addosso un cartello con la scritta “ladro”. Ma è una decisione che presto lo disgusta: “Il nostro mondo di bambini — persone semplici, indipendenti — deve rimanere puro dall’illusione e dalla colpevole fiducia nella legittimità della punizione, dalla fiducia e dalla illusione che il sentimento di vendetta diventi giusto, non appena lo si chiami punizione...” Più che da un intento di emancipazione dei contadini, la creazione della scuola di Jasnaja Poljana nasce probabilmente dal bisogno di Tolstoj di immergersi in quella realtà contadina che considerava ancora incorrotta, a differenza della borghesia e della nobiltà (ed in ciò è evidente l’influenza di Rousseau). La sua attività di maestro non persegue lo scopo di diffondere presso i contadini le sue idee etico-religiose, di fare apostolato o proselitismo. Tolstoj insegna ai figli dei contadini per imparare da loro. 
Una interessante conferma si trova in uno scritto intitolato I ragazzi di campagna devono imparare da noi a scrivere o noi da loro?, pubblicato nella rivista della scuola. Lo scritto è un rendiconto del laboratorio di scrittura nella scuola. Tolstoj propone ai suoi studenti di scrivere un racconto ispirato ad un proverbio. Dopo aver scritto la prima pagina, continua insieme a loro. Il processo creativo è vivo, i ragazzi si appassionano e lavorano per ore, senza avvertire la stanchezza. Il grande scrittore ha modo di constatare la fertilità creativa dei suoi piccoli contadini, ma anche la semplicità, la pulizia dello stile, il senso dell’armonia, la sensibilità. La conclusione cui giunge può essere considerata una sintesi efficace di tutto il suo pensiero pedagogico: “Non si può ed è assurdo voler insegnare ad un bambino e volerlo educare per la semplice ragione che è più vicino di me e di qualsiasi adulto a quell’ideale di armonia, verità, bellezza e bene a cui pretendiamo di elevarlo nella nostra superbia”. C’è in queste parole una consapevolezza realmente nuova delle qualità dell’infanzia ed una inedita percezione dei rapporti tra educatore ed educando, che supera la passività in cui quest’ultimo è tenuto da gran parte della tradizione pedagogica.


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