[Freud nel suo studio]

Molti dei nostri lapsus, delle nostre gaffes, delle nostre distrazioni rivelano, ad una analisi attenta, un pensiero latente a carattere sessuale. Un uomo che provi attrazione per una donna potrà ad esempio, scrivendole una lettera, compiere il lapsus di scrivere seno al posto di sano. Il sesso compare ovunque: negli atti mancati, nei sintomi nevrotici, nei nostri sogni. Non è possibile comprendere un essere umano dal punto di vista psicologico se non si tiene in debito conto la sua sessualità, che per Freud è un bisogno primario, come quello di mangiare o di dormire. Questo bisogno sessuale universale ed innato Freud lo chiama libido, spiegando che si tratta del corrispettivo sessuale della fame. Come la fame è un bisogno che trova soddisfazione nell’atto di mangiare, così la libido trova soddisfazione attraverso un atto sessuale, compiuto con una persona che Freud con espressione non del tutto felice chiama oggetto sessuale
Questa soddisfazione avviene il più delle volte con una persona di sesso opposto al proprio, ma questa è solo una delle possibili sue realizzazioni. Un’altra possibilità è l’omosessualità. Nei Tre saggi sulla sessualità (1905) Freud respinge l’interpretazione, diffusa al suo tempo, della omosessualità come degenerazione, osservando che molti omosessuali non mostrano alcun deficit in altri campi, e spesso anzi hanno una intelligenza ed una visione morale considerevoli; inoltre presso alcune culture antiche l’omosessualità era una vera e propria istituzione e non comportava affatto un decadimento morale e civile. Pur non pronunciandosi sulle cause della omosessualità, Freud giunge alla importante conclusione che non esiste un legame tra pulsione sessuale (la libido) ed oggetto sessuale. La libido inizialmente è indipendente dall’oggetto; può quindi indirizzarsi verso un oggetto sessuale appartenente all’altro sesso o al proprio sesso. 
Contro la tendenza del suo tempo, che andava verso la considerazione di ogni perversione sessuale una forma di malattia, Freud afferma che in realtà alcune di queste perversioni, anche solo in forma leggera o transitoria, sono piuttosto comuni. «L’esperienza d’ogni giorno ha mostrato che molte di queste deviazioni, o per lo meno le più leggere, raramente sono assenti dalla vita sessuale della gente sana, la quale le considera come non diverse da altri casi della propria vita intima». Diversi anni dopo, nel 1948, il famoso rapporto Kinsey dimostrerà la verità di questa affermazione freudiana relativamente alla popolazione americana. Dalla sua indagine risulterà, ad esempio, che il 37 % degli uomini americani avevano avuto nella loro vita almeno un rapporto omosessuale. Oggi ben pochi sostengono che l’omosessualità sia una malattia, mentre si continua a considerare malattie alcune delle altre perversioni considerate da Freud, in particolare la pedofilia, che suscita indignazione ed allarme sociale.
La parte più importante della teoria di Freud sulla sessualità riguarda proprio la sessualità infantile. L’espressione stessa a molti sembrò scandalosa: non sono forse i bambini quanto di più puro ed ingenuo si possa immaginare? Per Freud le cose stanno diversamente. Come la fame, la libido esiste fin dalla nascita e cerca una sua soddisfazione. Questa soddisfazione, ovviamente, non può avvenire allo stesso modo degli adulti. Per Freud esistono delle parti del corpo – le zone erogene – che sono particolarmente sensibili alla eccitazione sessuale. Qualsiasi parte del corpo, a dire il vero, può essere una zona erogena, ma nello sviluppo individuale soprattutto alcune zone giocano un ruolo fondamentale, diventando il luogo del piacere. Alla nascita, questa zona è la bocca. La libido di un neonato trova soddisfazione attraverso l’atto di succhiare. L’oggetto sessuale è il seno materno. Quando il seno della madre è assente, il bambino succhia il suo pollice, compiendo un atto che è a tutti gli effetti una forma di autoerotismo. È la fase orale dello sviluppo sessuale. Tra i due ed i quattro anni il bambino passa alla fase anale. Attraverso i disturbi intestinali frequenti nell’infanzia, la zona anale riceve una stimolazione intensa. A questa età succede che i bambini trattengano le feci per quanto possibile, in modo tale che la loro espulsione provochi la massima stimolazione, provocando piacere. Anche questa è una pratica autoerotica, che però ha anche altri significati. Il bambino sa che gli si chiede di fare i propri bisogni sul vaso. Accettare questa richiesta è una forma di obbedienza, così come rifiutarsi di defecare nel vaso esprime disobbedienza. In questo modo, le feci diventano qualcosa di più di uno stimolo autoerotico: sono una sorta di dono che il bambino fa ai propri genitori, dimostrando la propria buona volontà e la propria obbedienza. Una terza fase è la fase fallica, durante la quale l’interesse si sposta ai genitali, come poi avverrà nell’età adulta. I genitali sono esposti a molte sollecitazioni, sia per il passaggio di urina che per i frequenti lavaggi, e tali stimolazioni suscitano un piacere che i bambini e le bambine cercano di riprodurre. 
Durante la fase fallica, tra i tre ed i cinque anni, avviene l’evento fondamentale dello sviluppo psico-sessuale: il complesso di Edipo (dal personaggio che, secondo il mito greco, inconsapevolmente uccise il padre Laio e sposò la madre Giocasta). A questa età il bambino prova una vera e propria attrazione sessuale per il genitore di sesso opposto. Il maschio prova attrazione per la madre e questo desiderio lo spinge ad essere rivale del padre, partner legittimo della madre. Il bambino sviluppa così sentimenti ambivalenti nei confronti del padre: lo ammira, lo considera un ostacolo per la realizzazione del proprio desiderio ed al tempo stesso lo teme, poiché pensa che possa punirlo per il suo desiderio castrandolo. I bambini, bisogna precisare, elaborano una serie di teorie sessuali: pensano che i bambini vengano concepiti mangiando qualche cibo particolare e che poi vengano espulsi come le feci (teoria cloacale). Soprattutto, essi non hanno consapevolezza della conformazione dei genitali femminili e sono convinti che anche le donne abbiano il pene. Se esso non è visibile, è perché non si è ancora sviluppato o perché è stato tagliato via (complesso di evirazione). In questo momento, il bambino teme che anche a lui possa essere tagliato il pene, e ciò provoca in lui una forte angoscia, alla quale si sottrae rinunciando a desiderare la madre ed identificandosi con il padre. Questa identificazione è per Freud della massima importanza per la nascita della coscienza morale. Identificandosi con il padre, il bambino introietta l’autorità del padre, costituisce una sorta di padre interiore da cui poi deriverà il Super-Io che, come vedremo, è l’istanza psichica della nostra coscienza morale.
Nelle femmine le cose si svolgono diversamente. La bambina si accorge di non avere il pene e se ne chiede il perché. Non attribuisce la colpa di questa mancanza al padre, ma piuttosto alla madre, colpevole di non averle dato il pene. La madre stessa è priva di pene, evidentemente perché è stata evirata; per questo perde prestigio agli occhi della figlia. In questo momento la bambina le proprie attenzioni si dirigono verso il padre, mossa dal desiderio del pene che non ha ricevuto dalla madre e che ora chiede al padre. Simbolicamente, il pene viene sostituito dal bambino. La figlia desidera ricevere in dono un figlio dal padre, generare un bambino per lui. Jung ha proposto per l’equivalente femminile del complesso di Edipo l’espressione complesso di Elettra, che terminerebbe con l’identificazione con la madre e l’accettazione di un ruolo in qualche modo passivo. Freud ha rifiutato questa proposta, perché ciò implica una analogia tra il complesso maschile e quello femminile, supponendo una stessa dinamica di attrazione per un genitore ed odio per l’altro considerato rivale, che in realtà esiste solo nel maschio. 
Come si può immaginare, la teoria del complesso edipico ha incontrato non poche critiche. Eric Fromm ha analizzato il cosiddetto «caso del piccolo Hans», la fobia di un bambino di cinque anni che Freud studiò con particolare attenzione e che gli consentì di chiarire la teoria del complesso di Edipo, giungendo a conclusioni diverse da quelle di Freud. Per Freud, il bambino aveva sviluppato l’angoscia di castrazione a causa del suo desiderio incestuoso con la madre. Per Fromm, invece, l’angoscia di castrazione era il risultato di minacce concrete che la madre faceva al bambino: «I metodi educativi dei genitori del piccolo Hans non sono affatti privi di minacce. La madre minaccia espressamente il piccolo di castrarlo: ‘Se lo fai ancora [di toccarti il pene con la mano (N.d.A.)]. mando a chiamare il dottor A. Che ti tagli il pipino». Per Fromm la fobia del piccolo Hans nasceva da queste minacce concrete e dalla paura della madre. Il problema è, per Fromm, quello della violenza e della minaccia come metodi educativi. Freud secondo Fromm non è mai giunto a mettere in discussione questi metodi educativi, così come non ha saputo criticare a fondo la civiltà borghese, di cui si sentiva a pieno titolo rappresentante. 
Più aspra è la critica del femminismo, che rimprovera a Freud di aver interpretato la sessualità femminile da un punto di vista maschile, anzi maschilista, vedendo nella donna null’altro che un uomo mancato. È questa la tesi sostenuta dalla filosofa e psicanalista Luce Irigaray nel libro Speculum del 19743. Quanto Freud afferma sulla sessualità femminile, sostiene Irigaray, rivela la diffusa incapacità di comprendere una sessualità concentrata in zone erogene diverse da quelle che l’uomo attribuisce al piacere femminile. 
A livello popolare la teoria del complesso edipico incontra una obiezione più semplice. Se noi avessimo vissuto un dramma simile nella nostra infanzia, si dice, ce ne ricorderemmo, mentre non ne abbiamo memoria. Per Freud questa dimenticanza è normale e fa parte dei meccanismi del complesso edipico. Una volta che esso si è risolto, il bambino dimentica tutto, rimuove ogni ricordo ed entra in una fase di latenza che dura fino all’adolescenza e durante la quale ogni interesse sessuale sembra essere scomparso. Con la pubertà, le pulsioni sessuali ricompaiono e si indirizzano finalmente verso l’altro sesso, giungendo alla strutturazione definitiva della vita sessuale, caratterizzata dal primato dei genitali (fase genitale) finalizzato alla procreazione.